bambino adulto psicologia

Il mondo “al tempo” dei bambini

Se chiudiamo gli occhi e richiamiamo alla mente un’immagine di noi da bambini, la nostra memoria ci metterà meno di un secondo a trovare una fotografia ferma nell’attimo; una sorta di ritratto che ci inchioda lì, in quel momento eterno.

Molti, moltissimi ricordi, compongono la trama della nostra storia, ci aiutano a conoscerci e a riconoscerci.

Questi ricordi possono esser stati raccontati da mamma e papà, oppure possono esser stati costruiti dalle nostre sensazioni date da immagini, sapori e odori rimasti impressi e scanditi nel tempo … tutto questo nel crescere si somma, diventa ricordo che legato ad un’emozione ci riporta a ciò che abbiamo vissuto.

Viene così collocato e ricordato, con significati negativi o positivi a seconda di come noi ci siamo sentiti nel momento stesso che abbiamo vissuto quell’attimo di vita che ci ha emozionato.

Nella canzone “Boccadasse”, di Gino Paoli e Ornella Vanoni, c’è una strofa che canta così: “I ricordi sono come i bambini che sanno inventare quello che gli va …”

A proposito della soggettività del ricordo, queste parole spiegano molto bene quanto questo possa poggiarsi su dati di realtà così come su ricostruzioni create dalla nostra mente.

Una cosa, che di sicuro però non ci ricordiamo è che cosa, da bambini, abbiamo provato nell’imparare a parlare, camminare, andare in bicicletta o altro.

Quando da adulti passiamo dalla condizione di figli a quella di genitori, ci ricordiamo come ci appariva il mondo da bambini?

Cosa voleva dire non conoscere niente di quello che per noi oggi è diventato scontato?

Come ci faceva sentire abitare un mondo sconosciuto, nuovo?

Siamo stati anche noi bambini, eppure, se da adulti, ci troviamo davanti a loro, non è scontato riuscire a capirli, nelle loro esigenze e difficoltà, ad imparare quella che per noi oggi è la routinaria realtà.

Potrebbe sembrare che quando abbiamo imparato come comportarci, automaticamente, disimpariamo il processo che ci ha portato a conoscere. Come se non ci servisse più.

La verità è che la realtà è molto più complicata di un processo di apprendimento.

Ma capire come questo processo di conoscenza avviene può esser utile a comprendere chi ci sta passando, i bambini appunto!

Lo psicologo svizzero Jean Piaget, vedeva i bambini come costruttori di teorie generali che poi andavano ad applicare a episodi specifici e concreti, contornando queste esperienze con narrazioni per rendere ancora più giustificabile ciò che vivevano.

Molte sono le critiche che gli sono state fatte, ma alcune idee racchiuse soprattutto nella sua teoria a stadi dello sviluppo cognitivo, sono considerate ancora valide e utili per comprendere come un bambino arrivi a costruirsi la propria conoscenza.

Con il solo obiettivo di rendere fruibile le sue idee, semplificherò al massimo la sua teoria, tentando di racchiudere con una parola ogni stadio che lui ha elaborato; nello Stadio Senso – Motorio (0 – 2 anni) è l’azione ad aiutare il bambino a conoscere la realtà circostante, esplorando e sperimentando schemi d’azione con l’ambiente. Tra i 2 e i 7 anni, nello Stadio Pre – Operatorio a guidare il bambino è il pensiero, quello prelogico e quindi intuitivo. Come se la soluzione dei problemi che incontra fosse guidata dalla percezione, senza esser legata a regole logiche.

Nello Stadio Operatorio – Concreto (8 – 12 anni), il bambino sa fare operazioni intellettuali, cioè sa rendere ogni sistema organizzato di azioni nella sua corrispettiva inversa. Così nasce il pensiero logico, che permette di classificare, seriare e numerare. Dai 12 ai 18 anni, si ha la massima espressione dello sviluppo cognitivo, quella cioè di poter formulare il pensiero astratto che permette di fare ipotesi e deduzioni senza la presenza dell’oggetto concreto (Stadio Logico – Astratto).

Dallo studio dello sviluppo dei bambini di Piaget, appare chiaro come imparare sia un processo, e in quanto tale abbiano bisogno di sperimentare prove ed errori, nell’arco di un determinato tempo a questo dedicato.

Tutti i successi dei bambini nell’apprendere sono fonte di soddisfazione ed emozione, ma anche di frustrazione.

Per imparare si deve esser di fronte a qualcosa di nuovo e già è sufficiente a spaventarci!

Se poi si pensa questo processo di crescita in un ambito relazionale, le soddisfazioni ma anche le frustrazioni aumentano, perché arrivano da entrambe le parti in relazione, i genitori e i bambini.

Se così è, si deve considerare il peso dato da stati ansiosi, paure, malumori etc. che inficiano il processo di apprendimento.

Chi tutela chi?

Mi torna alla mente l’immagine di “Alice nel paese delle Meraviglie”, dove mangiando una parte di un fungo magico, diventa piccola piccola in una casa tanto grande.

Tutto quello che sapeva non le serviva più, doveva immediatamente riadattarsi al nuovo ambiente; e questo spaventa.

Più ci sentiamo piccoli più le cose si fanno grandi.

Tra genitori e bambini non devono esserci dubbi su chi è grande e chi è piccolo!

Ma nemmeno il fatto che essendo in relazione, entrambe le parti hanno da imparare ..

Se i bambini hanno bisogno di un ambiente adeguato per farlo, fatto di calore, serenità, tolleranza all’errore, gli adulti hanno bisogno di ricordarsi che anche loro sono stati bambini ed i passi fatti con calma sono quelli più sicuri e meno soggetti ad ansia.

Dovremmo prendere spunto dai bambini, dalla loro gioia nella scoperta e dal loro naturale ma estremamente dolce impaccio nell’imparare.

La brama di arrivare potrebbe aiutare un bambino a comprendere questo enorme mondo nuovo che si trova ad abitare?

E a noi adulti che cosa potrebbe aiutare a metterci in gioco in un processo difficile ma possibile come quello di sentirci adeguati al ruolo di genitori che dobbiamo ricoprire? Brama? Oppure pazienza, accoglienza e fiducia?

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