anoressia e bulimia

Comunicare attraverso il cibo: la parte “nervosa” dell’anoressia e della bulimia

Anoressia e Bulimia.

Quanto peso ha il cibo nella nostra vita?

Esso è da sempre sinonimo di tutto un mondo sociale che si svolge intorno ad una tavola; almeno i nostri nonni lo usavano così, come mezzo per stare insieme, ritrovarsi, festeggiare, condividere ..

Oggi il cibo, non è solo questo, essendo scontato trovarlo nelle nostre case, gli usi che ne facciamo sono molteplici; possiamo infatti usarlo come sfogo, non pensando alle conseguenze di ciò che ingurgitiamo, incappando così, nella probabilità di poter sviluppare, insieme ad altri fattori, nell’insorgenza di malattie fisiche quali obesità, diabete, ipertensione. Oppure possiamo usarlo per esprimere un disagio interiore molto forte che ci fa respingere il cibo, aumentando la possibilità di arrivare a malattie psichiche quali anoressia e bulimia nervosa.

Il cibo quindi non è solo un mezzo per la sopravvivenza, ma è anche veicolo di emozioni.

Scavando fino all’origine del legame tra cibo ed emozioni, non si può non risalire alla relazione primaria tra madre (o la figura principale di riferimento) e bambino; la qualità emotiva che segue i pasti, non alimenta soltanto il corpo, bensì anche la mente.

Una madre non si limita a sfamare il suo bambino, ma gli provoca sensazioni di piacere, attraverso carezze, abbracci, sorrisi e tutto questo nutre i suoi bisogni di calore e sicurezza esattamente come il mangiare nutre la tensione biologica dovuta all’esigenza fisica data dalla fame.

La relazione che si viene a creare non solo appaga il bambino ma al tempo stesso anche la madre perché riesce a soddisfarlo nei suoi bisogni, e questo crea un’unione solida di sana dipendenza che getta le basi per un mondo affettivo che nel piccolo si va sviluppando.

Saranno le tappe evolutive successive, ad esempio lo svezzamento alla fine del primo anno di vita del bambino, a gettare le basi per la conquista da parte dell’infante dell’autonomia.

I disturbi alimentari, solitamente si sviluppano nella prima infanzia o nell’adolescenza, questo perché esse rappresentano tappe evolutive in cui la relazione con la madre o con la figura principale e il suo apporto emotivo dovrebbe essere in grado di strutturare un legame di appoggio abbastanza forte da creare una solidità.

Come si può sviluppare un’autentica autonomia se non si sperimenta la vera dipendenza?

madre e bambino

È dall’incontro tra due persone che si crea una relazione, in questo caso una madre e suo figlio, i problemi e le soluzioni nascono e si sviscerano dall’incontro tra i due.

Entrambi possono agevolare oppure bloccare la crescita del legame.

Questa particolare ed importante relazione si svolge all’interno di una famiglia, dove anche il padre o gli eventuali fratelli concorrono a creare un particolare clima emotivo.

La dinamica familiare tipica dei Disturbi Alimentari, ha come fulcro, secondo molti autori, il tema dell’”invischiamento”, in quanto il clima familiare non favorisce il differenziarsi gli uni dagli altri.

Selvini Palazzoli, psichiatra e autrice di rilievo della cultura sistemico – relazionale scriveva in merito, che in queste famiglie “si tende a stare tutti insieme come una covata”, spiegando che la specificità individuale è sacrificata a vantaggio dell’uniformità.

Da ciò si può evincere che se sposiamo la tesi della Dott.ssa Selvini Palazzoli, ad essere anoressica o bulimica, non è solo la paziente ma bensì tutto il funzionamento familiare e ciò può indurre a sviluppare la patologia alimentare a base nervosa.

famiglia e anoressia

Se nell’anoressica si ha la tematica principale del controllo, strumentalizzato per raggiungere l’ideale di perfezione, nella bulimica il distacco, la separazione e i vissuti di vuoto rappresentano i temi portanti. Questi due disturbi, anche se fondamentalmente diversi, hanno in comune l’utilizzo del cibo e del peso per affrontare i conflitti che non permettono di arrivare all’identità personale.

Utilizzano così il corpo per sfogare la loro conflittualità che avvertono sia con se stesse che con gli altri.

Perché si utilizza il cibo, anziché la voce per comunicare?

Nella stanza di terapia, ho ascoltato sovente le loro voci, dai libri potevo immaginarle flebili, quasi impercettibili, ed invece questa equazione mi è stata disconfermata più e più volte.

Spesso aspettano a parlare, vogliono capire quanto possono fidarsi di chi è seduto davanti a loro, dopodiché se riusciamo a superare questa messa alla prova, la loro voce risulta forte e chiara!

Hanno molto da dire.

Perché allora non comunicano ciò che pensano o provano?

A questa domanda, una mia paziente ha risposto così:

Perché se parlo non cambia niente, non vengo ascoltata comunque, in casa mia si gioca a squadra ed io sembra non ne faccia parte. Cit.”

Questa ragazzina, aveva colto perfettamente il punto!

Così il rischio risulta essere quello che questi pazienti lascino che il cibo parli per loro. Una magrezza eccessiva, comportamenti alimentari bizzarri, come andare subito in bagno dopo il pasto per rimettere, non possono esser trascurati, costringono all’attenzione.

Ed è così che assumono molto potere.

In terapia divento il loro traduttore, divento la loro voce, tolgo attenzione e potere al cibo; ma a casa chi traduce questi disagi?

Soprattutto come possono essere capite queste persone dalle loro famiglie, se tutti quanti sono calati in questo clima emotivo e subiscono il mancato sfogo della loro parte nervosa?

Come sottolineato, in un articolo del Sole 24 ore, dedicato alla V Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, per la sensibilizzazione e la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare, questi ultimi risultano ancora oggi, fra le prime cause di decesso più frequenti tra le patologie psichiche.

Guardare questi corpi è il modo per ascoltarli, mettere in discussione i modelli familiari è il modo per iniziare un dialogo, per dare una voce al disagio che vi si racchiude.

Ci vuole molta forza per uscire da dinamiche che possono schiacciare anziché far crescere con libertà e amore.

In queste famiglie si ritrovano persone che combattono l’un l’altra, dimenticandosi così che la vera forza non è l’invischiamento bensì l’unione.

tavola imbandita
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